Ecco il mio partito democratico

Piero Fassino, l’Unità del 26/11/2006

Sarebbe un gravissimo errore considerare cinque anni di centrodestra come una parentesi, chiusa la quale, si torna semplicemente ad una buona e ordinata gestione del Paese. Berlusconi e il suo progetto politico nacquero nel pieno della più grande crisi morale, politica e istituzionale che la Repubblica abbia conosciuto. Né si può dimenticare che la destra ambiva ad essere la nuova classe dirigente del Paese, capace di ridisegnare profilo e caratteri della società italiana.
Hanno tentato di farlo proponendo un impasto di neoliberismo protezionista e populismo plebiscitario che non solo si è rivelato fallimentare, ma ha ulteriormente aggravato tutte le fragilità strutturali del Paese. E oggi l´Italia si trova ad essere un Paese a rischio: perché il suo sistema produttivo è in affanno; perché certezze di vita, di lavoro, di reddito sono divenute precarie per molti, in particolare i giovani, le donne e le persone sole; perché cresce la difficoltà a tenere unito un Paese, che non solo continua a vivere un´irrisolta questione meridionale, ma scopre di avere nella pancia anche una questione settentrionale; perché il sistema politico e istituzionale è venuto riducendo ulteriormente la capacità di rappresentare la società italiana e di affermare il primato degli interessi generali. E tutto questo ha sollecitato frammentazioni corporative di ceto e di territorio, ha acuito il senso di estraneità dei cittadini alla vita politica e istituzionale, e soprattutto ha indebolito i fattori di coesione indispensabili perché una comunità si senta nazione.
Nonostante ciò l´Italia è un “grande Paese”, ricco di risorse, professionalità, competenze, lavoro, tecnologie, capitali. Ma, appunto, questo rende ancor più urgente una guida politica, forte, autorevole, riconosciuta, in grado di rivolgersi al Paese con credibilità.
È questa la sfida che sta di fronte alla sinistra e al riformismo italiano: una riforma morale e politica che ripensi l´Italia, riformi le sue istituzioni e la sua costituzione materiale, ricollochi il Paese nei nuovi orizzonti dell´integrazione europea e della globalizzazione, plasmi una nuova identità nazionale ricostruendo coesione sociale, spirito civico e senso di appartenenza.
Il secolo che ci sta alle spalle ha prodotto le più grandi emancipazioni della storia e la sinistra, i suoi partiti, i suoi sindacati ne sono stati protagonisti.
Ma la semplice riproposizione delle esperienze del passato non è sufficiente. Per le sfide di un secolo nuovo serve un pensiero nuovo, che può nascere se le diverse culture riformiste italiane – socialista, cattolico democratica, liberaldemocratica, ambientalista – vanno oltre la parzialità delle loro esperienze per dare al riformismo, per la prima volta nella storia italiana, una rappresentanza politica unitaria.
Insomma: serve un riformismo capace di far incontrare i valori della sinistra – pace, democrazia, libertà, solidarietà, uguaglianza – con l´alfabeto del nuovo secolo. Il multilateralismo per una governance della globalizzione che affermi diritti dell´uomo, democrazia, liberazione da ogni forma di oppressione. L´integrazione europea per un´Europa che sia il luogo e lo spazio in cui costruire il futuro dell´Italia. Il sapere e la conoscenza per offrire ad ogni persona più opportunità, scommettendo sul talento, sul merito, sulla capacità. Il lavoro che, tanto più nelle forme flessibili e mobili di oggi, ha bisogno di essere riconosciuto, valorizzato e restituito alla sua manifestazione di creatività, ingegno e sapere umano. La sostenibilità, per perseguire uno sviluppo per l´uomo e la natura.
E ancora: la laicità come uguaglianza dei diritti e certezza per ogni persona di praticare le proprie scelte di vita nella responsabilità e come valore che deve ispirare la ricerca di soluzioni condivise a inquietudini e domande su cui si interrogano credenti e non credenti. Le pari opportunità per promuovere l’accesso al sapere, al lavoro, alle istituzioni, alla politica per ogni donna italiana. La multiculturalità per realizzare integrazione, riconoscimento, relazione tra diritti e doveri.
Sono i grandi valori dell´umanesimo che devono, a maggior ragione, connotare un partito che voglia rappresentare la pluralità dei riformismi. L´Ulivo, peraltro, è stato già luogo di questo processo unitario: con una progettualità comune sui problemi del Paese, con la presentazione delle liste dell´Ulivo, con la formazione del Gruppi parlamentari. Adesso è il tempo del passo più complesso e ambizioso: un “partito nuovo” – e non semplicemente il rinnovamento dei partiti esistenti – per interpretare e guidare i cambiamenti e aprire così una nuova stagione della democrazia italiana.
Il Partito Democratico nasce su proposta di Romano Prodi e per volontà dei Democratici di Sinistra e della Margherita. Ma unire il riformismo italiano significa coinvolgerne tutte le espressioni politiche e culturali: socialiste, cattoliche, repubblicane, laiche e ambientaliste.
E, contemporaneamente, serve un´apertura a saperi, competenze, esperienze che nel riformismo e nei suoi valori di progresso si riconoscono, al di là dei partiti. L´enorme successo delle primarie, così come il consenso elettorale raccolto dall´Ulivo – più ampio della somma dei voti dei suoi partiti – ci dicono quanto grande sia il giacimento di energie e di disponibilità a cui può rivolgersi il Partito Democratico. Insomma: serve un “processo aperto” capace di suscitare passioni, mobilitare energie, promuovere impegno civico, parlare ai tanti – in primo luogo giovani – che sentono l’urgenza di liberare il proprio Paese e la propria vita dalle insidie dell’insicurezza e della precarietà. E spetta a Romano Prodi e ai partiti dell´Ulivo dare impulso da subito e senza più titubanze a questa apertura.
Per ripensare vocazione e destino dell´Italia, il Partito Democratico ha bisogno di collocarsi negli orizzonti dell´integrazione europea e della mondializzazione.
Da questa esigenza – e non da una pretesa di omologazione ideologica – muove la necessità di un rapporto forte e organico con la famiglia socialista europea e mondiale.
D´altra parte i partiti socialisti e socialdemocratici sono venuti aprendosi, da tempo, all´incontro con altre culture, innovando pensiero, programmi e classi dirigenti. Tony Blair ha rifondato il laburismo inglese aprendolo all’incontro con il socialismo liberale; Gonzales ieri e Zapatero oggi sono i leader di un socialismo spagnolo che ha assunto i valori della modernità; le socialdemocrazie scandinave hanno ripensato il loro welfare per realizzare equità e progresso nella società flessibile; Segolene Royal è l´espressione di un socialismo francese che va oltre la sua storica cultura colbertista e che Mitterand rifondò a Epinay unificando socialisti, radicali, repubblicani e cristiano sociali.
Ed è significativo che dai principali leader socialisti europei siano venuti attenzione e simpatia verso il progetto del Partito Democratico, visto come un contributo importante al rinnovamento della sinistra e all´unità del riformismo. Tant´è che nell´imminente Congresso di Porto – a cui sono stati invitati Prodi, Rutelli e il Presidente dei Democratici americani Howard Dean – il Pse modificherà il proprio statuto, definendosi «associazione politica che riunisce partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti e democratico progressisti». Così come va nella stessa direzione l´apertura dall´Internazionale Socialista a partiti progressisti e democratici di ogni continente e l´intensificazione in atto delle relazioni con il Partito Democratico americano nel comune obiettivo di unire il progressismo mondiale. Sono tutte ragioni che rendono naturale l´incontro del Partito Democratico italiano con il riformismo socialista.
Il Partito Democratico vuole essere anche una risposta alla crisi della politica. Tutti avvertiamo, infatti, la difficoltà dei partiti – anch´essi figli dell´organizzazione sociale fordista del ‘900 – a rappresentare adeguatamente domande di mobilità sociale, valorizzazione del merito, riconoscimento del protagonismo femminile, di rinnovamento generazionale. E la stessa possibilità di approdare a un bipolarismo maturo, ad una democrazia trasparente, a uno Stato effettivamente federalista dipende non solo da una nuova legge elettorale e dalle riforme istituzionali, ma anche dalla esistenza di un grande soggetto riformista che guidi l´innovazione del sistema politico.
E, dunque, serve un “partito nuovo” anche nella forma, superando la falsa contrapposizione tra radicamento e partecipazione.
Serve un “partito” vero: con centinaia di migliaia di aderenti, con strutture di base presenti in ogni comune italiano, con radici sociali robuste e consenso elettorale vasto, a vocazione maggioritaria, con capacità di formazione e selezione, con attività politica permanente. E questo partito sarà tanto più capace di rappresentare la società se sarà “aperto e democratico”: le primarie per selezionare le candidature, consultazioni referendarie degli elettori su scelte di valore strategico, voto segreto per gli incarichi direttivi, termini di mandato per promuovere nuove classi dirigenti, assise programmatiche aperte a saperi e competenze della società. E dovrà essere un partito pluralista, capace di riconoscere e valorizzare le sue diverse culture e sensibilità e di unirle in un progetto riformista comune.
Questa capacità di saldare organizzazione e partecipazione democratica dovrà caratterizzare – da qui alle elezioni del 2009 – anche la fase della transizione dall´attuale Ulivo al Partito Democratico individuando le forme per non smarrire le esperienze e l´identità dei soggetti costituenti, ma al contrario facendone un fatto fecondo del soggetto nuovo.
L´obiettivo è che il Partito Democratico sia un “partito”, e non una semplice federazione di partiti. Per arrivarci abbiamo bisogno di una processualità che non smarrisca l´esperienza e le relazioni di cui sono portatori le diverse identità politiche e le faccia incontrare nel partito nuovo.
Un percorso peraltro prospettato già ad Orvieto: nei congressi del 2007 i partiti deliberano di dare vita ad una fase costituente insieme agli altri soggetti associativi; in quei congressi i partiti non si sciolgono, ma vivono accompagnando la costruzione del nuovo partito che via via organizza le sue strutture, la sua azione politica e i suoi organi; nel processo costituente vengono promosse forme di partecipazione e di pieno coinvolgimento di cittadini ed elettori; l´obiettivo finale è dar vita al partito nuovo – compiutamente costituito e sovrano – in tempi utili per presentarsi alle elezioni europee del 2009.
Sono queste le scelte cruciali che stanno di fronte a noi. Non ignoro, naturalmente, interrogativi, dubbi, inquietudini e contrarietà. E non banalizzo nessuna delle ragioni che ispirano questi sentimenti. Anzi, sento la necessità di sviluppare tra noi un confronto aperto e libero, in cui ciascuno possa non solo affermare le proprie ragioni, ma ascoltare le ragioni altrui.
Proprio per questo rinnovo ancora una volta l´appello a sgombrare la nostra discussione da argomenti strumentali: chi propone il Partito Democratico non è un liquidatore della sinistra, né intende sciogliere e disperdere una storia. E chi, a sua volta, esprime dubbi e contrarietà non è un conservatore.
Tutti siamo orgogliosi della nostra storia e tutti siamo mossi dalla volontà di dare alla sinistra, ai suoi valori, alle sue idee il più grande slancio e di farle assolvere – come in altri passaggi cruciali della storia italiana – una funzione dirigente nazionale.
Anzi, è proprio la consapevolezza di quale straordinario giacimento di risorse morali e intellettuali sia il nostro partito e di quanto vasto e diffuso sia il credito dei Democratici di Sinistra a spingerci in questo nuovo viaggio, con la consapevolezza che costruire una casa più grande dei riformisti è il modo più efficace per far vivere la nostra ispirazione socialista.
Insomma: non solo i Democratici di Sinistra non smarriscono la loro identità e il senso del loro esistere, ma proprio perché forti di principi e ideali grandi possono ambire ad un riformismo alto e nuovo, capace di imprimere alla contemporaneità il segno della sinistra e dei suoi valori.
L´Italia è, ancora una volta, di fronte ad un passaggio storico. Spetta a chi si batte per un mondo più libero e più giusto, spetta a noi, restituire all´Italia e agli italiani speranze, certezze, fiducia.

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1 Risposta to “Ecco il mio partito democratico”


  1. 1 geco febbraio 20, 2007 alle 5:23 PM

    Il partito democratico che vorrei…

    aperto e capace di costituire una democrazia di massa organizzata e attiva e non una democrazia “personalizzata”, senza mandato, per notabili e grandi lobbies di interessi…


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enrico berlinguer

 

 

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