Archivio per 19 aprile 2007

Pd, Fassino: guardo al futuro, ma non taglio le radici

Intervista a Piero Fassino di Ninni Andriolo – L’Unità

Altro che sguardo «rivolto al passato». Alla vigilia del congresso della Quercia – che si aprirà a Firenze giovedì prossimo – Piero Fassino replica alle «rappresentazioni caricaturali» che relegano il Partito democratico al rango di «un compromesso storico tra due eredità politiche del ’900». Il leader Ds risponde alle domande de l’Unità dalla sua abitazione romana.Segretario, le critiche sul passato che ipoteca il futuro giungono anche da esponenti del suo partito
«E io rispondo che quelle critiche non fanno i conti con i fatti concreti. In realtà stiamo costruendo un partito che vuole guardare al futuro e che vuole misurarsi con i problemi di questo secolo. Stiamo costruendo, cioè, una forza che vuole parlare alle nuove generazioni per renderle protagoniste della vita del Paese».
«Il Partito Democratico sarà un evento enorme: mai si era verificata la fusione di due partiti per fare qualcosa di più grande. Con il Pd siamo nel futuro. Ma la sinistra, voglio ricordarlo, non ammaina le sue bandiere. Fabio Mussi deve partecipare al progetto»

Segretario, quale suggestione avrebbe per un ventenne il pantheon dei padri nobili del ‘900 proposto da lei nei giorni scorsi?
«Io ho fatto riferimento a una serie di personalità della storia e della cultura – italiane, europee e mondiali – diventate simboli di progresso, emancipazione e libertà. Le polemiche scaturite, francamente, sono stucchevoli. Non c’è futuro, infatti, senza memoria. Questo non significa che vogliamo far nascere un partito che guarda al passato. Le grandi nazioni costruiscono i pantheon per onorare i propri padri una volta l’anno. Poi, durante gli altri 364 giorni, vivono del futuro e lo costruiscono. Vale la pena ricordare, in ogni caso, che la sinistra non cancella i suoi simboli, non ammaina le sue bandiere. Non archivia una storia fatta di successi, ma anche del carico di responsabilità che deriva dalle tragedie, dai drammi e dalle sconfitte».

Una replica a chi sostiene che il Pd cancellerà la sinistra?
«La sinistra non muore, continuerà a vivere nel Partito democratico. E da lì si batterà perché i valori dei quali è portatrice continuino a suscitare speranze. Al Pd, anzi, portiamo in dote una memoria utile per scrivere – insieme a donne e uomini che vengono da altre esperienze – una storia che guardi al futuro e, in questo nuovo secolo, faccia vivere battaglie riformiste di uguaglianza e libertà».

Quelle sul lavoro, anzitutto. Sei morti in due giorni
«Sei morti in due giorni e centosettantasette negli ultimi due mesi: questi numeri non sono il frutto di una somma di fatalità. Ma il segno tangibile di quanto si sia svilito in pochi decenni il lavoro…».

Il Pd sarà il partito del lavoro, Questo, però, lei lo ha già detto più volte in passato
«Si, ma non l’ho fatto per riferirmi a valori desueti o a problemi del secolo scorso. Le morti bianche di questi giorni stanno lì a ricordarci priorità che riguardano l’oggi, Anzi, il futuro, visto che il lavoro, con il quale devono fare i conti le nuove generazioni, è sempre più precario, sottopagato, non tutelato. Fino a mettere in discussione la stessa vita. Ed è per queste ragioni, per rispondere alle domande di una società sempre più insicura, che il Pd dovrà essere prima di tutto un grande partito del lavoro. Il riformismo, d’altra parte, è nato per tutelare e rappresentare il lavoro. E ogni forza politica che si è definita, nel corso del tempo, riformista, ha avuto nel lavoro uno dei valori fondanti. Dovrà essere ancora così. Anzi, ancora più di così. Non solo per tutelare chi già il lavoro ce l’ha. Ma per dare speranze alle nuove generazioni. Altro che Partito democratico che guarda al passato, quindi».

Intanto fervono le polemiche sulla leadership del nuovo partito. Una volta si sarebbe detto che prima vengono le idee e poi gli uomini
«Anche oggi deve valere questo metodo. Diciamolo una volta per tutte, così sgombriamo il campo da polemiche fuorvianti e da fantasmi che non ci sono: il tema della leadership non è all’ordine del giorno. Non è oggi che dobbiamo scegliere. Affronteremo il problema quando verrà il momento. Tutti, d’altra parte, si sono espressi per una metodologia che renderà più semplici le cose. Il leader del Pd sarà scelto dai cittadini con le primarie. Non sarà sicuramente il risultato di una mediazione, di un negoziato o di scambi all’interno dei gruppi dirigenti o del ceto politico».

Nessuno in campo, quindi? Né lei, né Veltroni, né altri?
«Noi Ds non ci stiamo preoccupando di questo. Non me ne preoccupo io, che ho l’unico assillo di costruire bene il Pd, e non se ne sta preoccupando nessun altro dirigente. Veniamo da una scuola che ci ha abituato ad anteporre alle legittime aspirazioni personali, la priorità di un disegno politico e i valori in cui crediamo»

I giornali, tuttavia, descrivono molte manovre intorno alla leadership
«E spesso raccontano una realtà che non esiste. Sul tappeto, per il momento, c’è l’esigenza di mandare avanti il progetto del Pd e le idee che dovranno vivere nel nuovo partito. Ed è la stessa attualità di questi giorni a indicarci le sfide che abbiamo di fronte. Quello che è accaduto a Milano, in corso Buenos Aires, nel conflitto tra la comunità cinese e gli abitanti di quel quartiere, non ci dice, forse,come sia attuale il grande tema della società multietnica, multireligiosa e multiculturale? Ecco, il Pd dovrà essere anche un grande partito della cittadinanza, capace di affermare diritti e doveri. E di costruire, quindi, un sistema di relazioni in cui ciascuno, senza rinunciare alla propria identità, riesca a essere parte di una comunità. Ma il Pd dovrà essere anche una grande forza che assume pace, sicurezza e stabilità come obiettivi quotidiani. E di ripensare lo sviluppo e la sua qualità. E di costruire le condizioni perché chi avrà vent’anni nel 2010 ritrovi quelle certezze di vita, di reddito, di lavoro, di opportunità che gli consentano di guardare al futuro con sicurezza e speranza. E il Pd dovrà essere, nel contempo, un grande partito della solidarietà, capace di assumere come centrale il tema della famiglia. Di affrontarlo per riconoscere il suo valore sociale, andando al di là delle contrapposizioni ideologiche. Per mettere a disposizione delle famiglie, invece, quelle politiche – per l’infanzia, gli anziani, per il lavoro, per la parità dei rapporti tra i coniugi – indispensabili per consentire a ogni nucleo familiare di vivere più sereno e meno solo. Un grande partito, quindi, che ripensi anche la società assegnando gli stessi diritti e opportunità sia agli uomini che alle donne».

I temi, a ben vedere, sono da tempo sul tappeto del dibattito politico. La bacchetta magica del Pd li risolverebbe di colpo?
«Sono temi che il nuovo secolo ci pone in termini diversi da come li abbiamo vissuti, nel secolo scorso. E il Pd nasce proprio dalla consapevolezza che il ‘900 è alle spalle e che sono alle spalle anche le esperienze culturali, politiche e sociali maturate in quel tempo. Non si tratta di rinnegare una storia di cui tutti siamo orgogliosi, ma di scriverne un’altra. E lo possiamo fare se ciascuna forza politica va oltre la propria parzialità. Per concorrere a costruire – insieme ad altri – un soggetto politico, culturale e sociale in grado di interpretare il nuovo secolo. Questo è il Partito democratico, questa è l’ambizione di cui è figlio».

Progetto che arriva al passaggio cruciale dei congressi Ds e Dl che, però, sono stati preceduti da molte polemiche
«Quei congressi rappresentano il punto conclusivo della prima fase di costruzione del Partito democratico. La prima fase. iniziata a Orvieto, troverà il suo approdo finale a Roma e a Firenze. La discussione si è conclusa con l’orientamento chiaro di costruire il Partito democratico. E non per risolvere i problemi dei Ds o quelli della Margherita. Meno che meno quello dei loro dirigenti. L’obiettivo, infatti, è quello di dare all’Italia un partito che guidi il Paese in una fase di grandi trasformazioni e che rinnovi le istituzioni e il rapporto tra cittadini e politica»

Ma il Pd non sta scaldando i cuori, almeno per il momento. È questo quello che viene imputato a lei e a Rutelli
«È un fatto enorme quello che stiamo facendo, e io continuo ad essere sorpreso e sconcertato per come ogni giorno si svilisce un evento di questa portata. Due grandi partiti, Ds e Margherita, decidono di mettersi insieme e già questo è un fatto del tutto nuovo. La politica italiana conosce mille esempi di scissioni, quasi nessun esempio di fusione e di incontro. E non solo. Non ci limitiamo a far incontrare i nostri partiti, Abbiamo detto, infatti, che vogliamo fare un’operazione molto più grande, perché ci apriremo ad altri. Dandoci, tra l’altro, strumenti che vanno a di là di quelli classici dei partiti: primarie, Assemblea costituente, rapporto diretto con la società civile. Innoviamo la politica, quindi, e andiamo oltre la nostra esperienza, dimostrando un coraggio e una disponibilità all’innovazione che contraddice la rappresentazione della “fusione fredda” o della nascita burocratica».

Adesso, in ogni caso, si apre la seconda fase. C’è chi giura che verrà anch’essa condizionata dal peso dei partiti
«Non sarà così. Avremo bisogno davvero di un concorso amplissimo della società. E per per questo ho proposto che, all’indomani dei congressi, si istituiscano i comitati promotori del Pd in tutt’Italia. Questi comitati, larghi e aperti, dovranno promuovere da subito una grande stagione di discussione. con milioni e milioni di cittadini , sul manifesto fondativo del Pd. E dovranno iniziare a raccogliere preadesioni al Pd. In modo da individuare una platea vasta di cittadini – destinatari della nostra politica – che sia base per preparare l’Assemblea costituente. Da eleggere con un meccanismo che ricalca l’esperienza delle primarie. Una seconda fase appassionate, larga, in cui davvero dimostriamo che vogliamo costruire un partito nuovo. Anche nella forma, anche nel linguaggio, anche nel rapporto con i cittadini».

Segretario, Boselli risponde no al suo invito ad aderire al Pd
«Sono rimasto sconcertato ascoltando la relazione di Boselli al congresso Sdi. Non vi ho trovato alcuna ragione politica forte che spieghi perché i socialisti non debbono essere parte del Pd e, contestualmente, ho trovato molti pregiudizi, molte caricature»

La accusano di voler attentare all’autonomia dei socialisti italiani
«Un atteggiamento ingeneroso verso i Ds, che in questi anni hanno sempre lavorato con disponibilità e apertura al rapporto con i socialisti italiani, lasciando alle spalle ogni forma di lacerazione o pregiudizio del passato. E da me, in particolare, sono venuti riconoscimenti alla storia e ai leader del socialismo italiano, che dimostrano la nostra volontà di superare definitivamente vecchie contrapposizioni»

Il suo riferimento a Craxi tra i padri nobili del Pd ha destato polemiche, e non solo da parte dello Sdi.
«Quel riferimento non aveva il significato che qualcuno ha voluto dargli. Non voglio né riscrivere la storia d’Italia, né archiviare Tangentopoli. Sappiamo tutti, però, se vogliamo avere una lettura serena ed equilibrata, che Craxi non può essere semplicemente ricondotto al passaggio così critico della stagione di Tangentopoli. Craxi è stata una personalità complessa della sinistra, che ha avuto anche la capacità di anticipare questioni (come il rapporto tra merito e bisogni) con le quali ci siamo misurati tutti negli anni successivi. Il mio riferimento, in realtà, aveva lo scopo di spiegare come sia necessario che il riformismo di matrice socialista stia nel partito democratico. E che ci stia con tutta la sua storia, le sue esperienze. Con quel riformismo, cioè, che va da Turati a Matteotti, da Buozzi a Rosselli, da Nenni a Saragat, da Lombardi fino ai giorni nostri. A Craxi e a Boselli, quindi».

Boselli punta a una costituente socialista alternativa al Pd. Spera ancora di poterlo convincere?
«Il suo no al Pd mi sembra privo di argomenti. Dire che il Pd è una sorta di riedizione del compromesso storico è privo di senso. Quella è un’esperienza storica che risale a 30 anni fa. Nessuno pensa di riproporla. Se l’argomento, poi, è che il Pd nasce da un’ipoteca che si fonda su un rigurgito di clericalismo, che settori della Margherita e del mondo cattolico esprimono, anche questa mi sembra una forzatura. La netta maggioranza dei dirigenti e degli esponenti della Margherita, invoca – proprio come credenti impegnati in politica – l’autonomia della politica e delle istituzioni. E ispira i propri comportamenti a una concezione laica. E in ogni caso, ammesso e non concesso che il rischio sia o di un piccolo compromesso storico o di un partito poco laico, beh ma la presenza dello Sdi metterebbe ancora di più al riparo il Pd da questi rischi. Non è tirandosi fuori che Boselli risolve questi problemi».

Rasmussen spiega che in Europa non c’è spazio per un Pd che si collochi al centro, tra sinistra e destra.
«Rasmussen ha detto una cosa semplice e vera. Che in Europa, cioè, ci sono due grandi schieramenti. Uno di centrodestra. E uno di centrosinistra, dove è evidente che si debbono collocare le forze che si richiamano a valori di progresso, libertà e democrazia. Il dibattito, d’altra parte, non è fermo a un anno fa. Nelle tesi congressuali della Margherita c’è scritto che “l’obiettivo del Pd dev’essere lavorare per un campo riformista europeo unitario più largo, da costruire insieme al Pse”. Si assume il Pse, quindi, come interlocutore fondamentale per unire il riformismo, anche su scala continentale. Non è poco rispetto alle premesse da cui partiva la Margherita. Dopodiché discutiamo anche con i socialisti europei di come realizzare insieme questi obiettivi».

Questo, però, a quanto pare, non basta a convincere Mussi ad aderire al Pd. E anche Angius mantiene una posizione critica
«Utilizzo l’Unità per indirizzare un ultimo estremo appello a quelle compagne e a quei compagni che pensano di non partecipare alla costruzione del Pd. Abbiamo fatto un congresso libero e vero. Duecentocinquantamila iscritti hanno partecipato, discusso e votato nel segreto dell’urna. E il 75% ha detto si al Pd, mentre il 9% della mozione Angius ha proposto modalità e profilo diversi, ma sempre di un nuovo soggetto politico riformista. Per quale ragione, quindi, i compagni che hanno votato la mozione Mussi debbono allontanarsi e rinunciare, senza peraltro un chiaro progetto alternativo? Prendiamo atto, tutti insieme, del pronunciamento del congresso, che ha risolto il problema del “se” dare vita al Pd. Adesso si passa al “come” e qui c’è bisogno di un concorso larghissimo di idee, esperienze e proposte. In questo percorso c’è tutto lo spazio anche per i compagni che hanno votato la mozione Mussi, per le loro idee e per il loro punto di vista critico. Io non chiedo alla sinistra Ds di fare la sinistra del Pd. Sarebbe riduttivo. Chiedo loro, invece, di stare con noi a definire il profilo del Pd. Poi, dove collocarsi lo decideranno sulla base di ciò che sarà. D’altra parte il manifesto per il Pd sarà sottoposto a un’ampia discussione ed emendabilità. Così come larga dovrà essere la discussione sullo Statuto del nuovo partito. Gli organismi dirigenti che eleggeremo al congresso dei Ds, d’altra parte, avranno la possibilità di verificare periodicamente il percorso. E, alla fine, convocheremo l’Assemblea congressuale per valutare l’andamento del processo costituente e come proseguire il cammino».

(fonte http://www.dsonline.it)

25 aprile


 




enrico berlinguer

 

 

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